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SOTTO LA TOQUE
Matteo Fronduti:
Professionale, Determinato, Libero

Abbiamo sollevato il cappello da cuoco a Matteo Fronduti del ristorante Manna di Milano, che ci ha svelato i suoi segreti: da cosa voleva diventare da grande a ciò che non manca mai nel suo frigorifero

Il coraggio non gli è mancato fin da giovanissimo, quando ha scelto la sua strada in autonomia, rompendo uno schema familiare che aveva riposto su di lui aspettative diverse. Figlio unico di una famiglia di imprenditori, la sua strada lavorativa sembrava segnata al fianco del papà, ai vertici dell’azienda di famiglia fondata dal nonno. Per questo il percorso scolastico si è orientato verso il liceo scientifico ma, il destino lo ha inseguito, facendogli scoprire la vocazione per il fornelli, durante le cene organizzate con i compagni di scuola. Una passione dirompente che lo ha guidato verso le cucine dei grandi, come Davide Oldani e nelle cucine più innovative; Villa Fiordaliso sul Garda, Il Nuovo Macello, L’Armani Cafè, Il Trussardi e il Just Cavalli.
Lavoro, tanto lavoro che per Matteo è la migliore delle scuole, partendo dal basso ma consapevole delle proprie capacità, esplose nella vittoria meritatissima del programma-sfida Top Chef Italia, su Canale Nove.
Una piccola “spinta” di popolarità per il suo locale, il ristorante “Manna”, che in nove anni dall’inaugurazione non ha però mai sentito crisi, un progetto di vita e non di marketing che in tanti hanno compreso, basato sul desiderio di far mangiare bene i clienti senza conti inaccessibili.
La scelta del luogo è stata per questo mirata verso una zona periferica e fuori dai percorsi canonici, che ha permesso di abbattere i costi di gestione, riversando tutto il guadagno nella qualità delle materie e dei piatti.
Fronduti crede in se stesso e nella sua libertà, non rincorre le lusinghe ma, chi comprende la sua filosofia, rimane affascinato dalla sua lealtà…. Oltre che dalla sua cucina.
-Da bambino cosa sognavi di diventare?

Da bambino giocavo e non progettavo il mio futuro.

-Il primo sapore che ti ricordi.

Una bacca di ginepro masticata con mio nonno durante una passeggiata nel bosco, dal

sapore sicuramente disgustoso ma che negli anni mi è rimasto impresso.

-Qual è il senso più importante?

Nella nostra vita ordinaria è la vista, costituisce l’80% della percezione umana.

-Il piatto più difficile che tu abbia mai realizzato.

Il prossimo!

-Come hai speso il primo stipendio?

Per pagarmi una cena, ovvio.

-Quali sono i tre piatti che nella vita non si può assolutamente fare a meno di

provare?

Non si può rispondere a questa domanda: farlo vorrebbe dire conoscere lo scibile della

cucina mondiale e la mia mission non è limitarmi, ma continuare a scoprire nuovi sapori.

-Cosa non manca mai nel frigo di casa tua?

Il burro.

-Qual è il tuo cibo consolatorio?

Spaghetti burro e grana padano.

-Che rapporto hai con le tecnologie?

Ottimo, non sono un pioniere ma le uso quotidianamente.

-All’ Inferno ti obbligano a mangiare sempre un piatto: quale?

L’Inferno è un posto tremendo, secondo me non ti fanno mangiare proprio niente!

-Chi inviteresti alla cena dei tuoi sogni?

Le persone che sono state fondamentali per la mia crescita umana e personale.

-Quale quadro o opera d’arte rappresenta meglio la tua cucina?

“L’Urlo” di Munch, perché è quello che succede quando un cliente poco informato sulla mia

cucina si siede al mio ristorante.

-Se la tua cucina fosse una canzone quale sarebbe?

Sarebbe una canzone movimentata e vivace, con poche regole da seguire: un pezzo tra il

punk e il rock and roll.

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