Abbiamo sollevato il cappello da cuoco a Paolo Trippini Executive Chef e titolare del Ristorante Trippini di Civitella del Lago (Terni), che ci ha svelato i suoi segreti: da cosa voleva diventare da grande a ciò che non manca mai nel suo frigorifero
Nonostante l’aspetto granitico e forte, Paolo Trippini è decisamente uno dei cuochi più sensibili della sua generazione. È costante e convinto della sua scelta professionale, fatta fin dalla tenera età ma i suoi piatti, pur se lui non lo dichiara, vengono cucinati prevalentemente con il cuore. La sua è una grande cucina dalle radici territoriali ma di respiro internazionale che racconta quelli che sono i suoi valori; la famiglia, la sua regione, i ricordi, l’onesta. Paolo mette tutto nel piatto con grande tecnica e precisione meticolose, seguendo il filo delle stagioni, accogliendo le idee nuove che arrivano dalla brigata e traccia un racconto dove i protagonisti sono i sapori veri, poco contaminati, a volte privi anche del sale ma mai del gusto. Cresciuto nella cucina dell’adorato papà, che prima fu del nonno, ha completato gli studi all’Alberghiero di Spoleto poi si è allontanato da casa per apprendere le basi, staccandosi solo con il corpo ma mai con il pensiero, che è sempre stato quello di ritornare e continuare la costruzione del ristorante di famiglia. I suoi maestri sono stati Gaetano Trovato e Bartolini con esperienze insieme a Riccardo Agostini e da Vissani. Le redini del Ristorante Trippini gli sono state cedute dal papà nel 2006, quando aveva 27 anni e tanta voglia di fare bene che non ha mai perso, anzi, Trippini è costantemente alla ricerca del miglioramento, con una perseveranza unica, unendo il ricordo alla curiosità e procedendo al ritmo, come dicevamo, dei battiti del cuore.
-Da bambino cosa sognavi di diventare? Il mio sogno era quello di fare il pompiere, li vedevo come degli eroi e poi guardavo GRISU’.
-Il primo sapore che ti ricordi. Pane olio e zucchero la merenda della nonna.
-Qual è il senso più importante? Il tatto, la sensibilità e fondamentale.
-Il piatto più difficile che tu abbia mai realizzato. Sono testardo e determinato ma di certo ho faticato la prima volta che ho provato a fare un soufflé.
-Come hai speso il primo stipendio? Ho comprato una moto Gilera 125.
-Quali sono i tre piatti che nella vita non si può assolutamente fare a meno di provare? La pasta al pomodoro di Uliassi, il pane con la ricotta di Caino (commovente, me lo ricordo ancora a distanza di 15 anni) il piccione in salmì di mio Papà.
-Cosa non manca mai nel frigo di casa tua? Ricotta fresca di pecora una droga.
-Qual è il tuo cibo consolatorio? Latte freddo con biscotti (Gocciole possibilmente).
-Che rapporto hai con le tecnologie? Un buon rapporto, mi piacciono e mi appassionano ma mi fanno anche tanto impazzire perché ritengo che, a volte, non fanno quello che dico io :)
-All’Inferno ti obbligano a mangiare sempre un piatto: quale? Pollo alla diavola. È il luogo perfetto ci sono sia la brace che l’atmosfera.
-Chi inviteresti alla cena dei tuoi sogni? Mio papà
-Quale quadro o opera d’arte rappresenta meglio la tua cucina? Nonostante mia sorella Elena sia direttrice di musei, non sono molto avvezzo, comunque un quadro di un paesaggio sicuramente.
-Se la tua cucina fosse una canzone quale sarebbe? “Aida” di Rino Gaetano la metto sempre mentre cucino mi rilassa e mi fa stare bene.
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